IV EDIZIONE PREMIO DI POESIA CITTA' DI CEGGIA "Luciano Doretto"
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VITO SORRENTI I° Classificato "Invocazione alla pace" Il sapiente connubio tra l'afflato biblico, simbolico e salmodico, e un linguaggio poetico essenziale, che dà voce all'umanità afflitta dagli orrori della guerra con espressioni di fiducia e grida di aiuto, conferisce all'Invocazione un pathos così intenso e vibrante, da indurre la giuria a proporre un originale tema musicale per la sua meritevole esaltazione. (Mila Manzatto) . |
Centro d'Arte Coreografica "Aglaia" Premio Artistico Letterario di Poesia e Narrativa "Nicola Mirto" 2012 |
"PREGHIERA DELLE ANIME AFFRANTE" di Vito Sorrenti Dal libero fluire dei versi, resi incalzanti dal susseguirsi delle anafore, scorrono dinanzi ai nostri occhi toccanti immagini pregne di intensa carica espressiva che ci coinvolgono emotivamente e che riecheggiano intensamente nel nostro animo. La lirica, che ha i connotati di una preghiera rivolta a Dio, sottende negli ultimi versi un messaggio di eticità che si riallaccia a sani principi di solidarietà e di impegno sociale. Essa affida infine al lettore la speranza sommessa che gli uomini di buona volontà sappiano operare per il bene dell'umanità sofferente. (Anna D'Angelo) |
Centro d'Arte Coreografica "Aglaia" Premio Artistico Letterario di Poesia e Narrativa "Nicola Mirto" 2012 |
"TRITTICO DEI DISASTRI" di Vito Sorrenti Il poeta nella sua lirica ci descrive, grazie ad una struttura poetica sempre originale e personale, con un linguaggio duro ed efficace, i disastri e le rovine che l'uomo crea a se stesso, ai suoi figli e di conseguenza a tutta la Terra. Nei versi viene evidenziata l'inutilità della agghiacciante guerra, la più grande sciagura dell'uomo, così come l'orrendo e "silente olocausto" che distrusse, nel silenzio colpevole di tanti, una moltitudine di giovani vite, ed ancora "l'ingordigia umana" che ha prodotto armi sempre più sofisticate e subdole le quali "bruciano il domani alle future generazioni" devastando tutto ciò che incontrano. Come il pittore Picasso nella famosa "Guernica", Sorrenti, attraverso i suoi versi, con pennellate dense di angoscia e di rabbia, rende visibile il toccante dolore, l'immane disastro, l'orrendo misfatto. L'autore, tuttavia, non è mai abbandonato dalla Speranza e porge una preghiera all'Alto per un ravvedimento dell'uomo, affinché possa porre un limite alla sua odiosa brama di potere, prima che "l'irreversibile rovina renda sterile il seme e arido il giardino del genere umano". (Prof.ssa Giuseppina Ferrara |
Associazione Orma Cultura
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" Trittico della libertà " di VITO SORRENTI
E' una lirica che esamina il valore della libertà, un diritto di cui l'uomo ha assoluta necessità. Il poeta evidenzia soprattutto il sacrificio di conquista e attraverso un linguaggio catartico eleva la voce dell'animo per ricordare le tante vittime e soprattutto lo scempio del sangue. La voce del Poeta si innalza per rompere l'indifferenza, mentre esorta a non distruggere i valori. Interessante è la ricchezza metaforica dei termini e l'utilizzo di immagini che rafforzano l'incipit di una lirica che attualizza la storia. (Enza Conti) |
PREMIO DI POESIA "LORELLA SANTONE" FAIETE DI CELLINO ATTANASIO
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MOTIVAZIONE DELLA POESIA VINCITRICE - SEZIONE A LINGUA ITALIANA-TRITTICO DELLA LIBERTA'
Settant'anni di storia non sono riusciti a cancellare lo scempio dell'Olocausto. Tanta è stata l'indicibile ferocia verso l'Umanità. L'autore ammonisce coloro che sanno a non dimenticare; a partire dai poeti: i più sapienti dei dolori dell'anima. |
Centro d'Arte Coreografica "Aglaia"
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"TRITTICO DELLA LIBERTÀ" di Vito Sorrenti
Il trittico di Vito Sorrenti colloca su un piano simbolico l'indimenticabile strage dell'Olocausto, mediando, attraverso immagini, contenuti altrimenti non comunicabili, brutture difficilmente integrabili entro l'opera perché indecifrabili per il pensiero, inconcepibili per la coscienza: il verso diventa lo strumento a cui affidare l'immenso dolore e l'urlo inestinguibile dell'anima offesa. I versi seguono l'ardente geometria della sofferenza di "vite sconvolte dagli artigli dell'astio", del "materno dolore per i figli uncinati dai feroci sparvieri", e cercano un giusto riscatto all'incomprensibile sacrificio di vita, guardando dritto in faccia alla realtà, senza fughe ed evasioni, pretendendo "perenne memoria della più truce barbarie". L'evento dell'Olocausto si sottrae ad ogni possibile caratterizzazione e, per ciò stesso, l'incisione di questo orrore, a caratteri di fuoco, sulle pagine di storia, deve provvedere a redimere l'umanità colpevole (anche quella non direttamente coinvolta e persino quella futura) perché si tratta di un orrore del quale è vietato il misconoscimento o l'oblio, a cui tutto purtroppo in genere ritorna, e a cui, invece, deve seguire, di necessità, un rinnovarsi continuo dello sgomento. La disposizione formale del trittico permette di rivelare organicamente la tensione fra due forze antagoniste: quella della morte, armata della "disumana ferocia" e delle "vampe dell'odio" e quella della vita, sostenuta, invece, da una incrollabile fiducia, incarnata poeticamente nell'invocazione costante della Libertà. Ed è proprio la Libertà, finalmente "giunta su queste lande funeste" a rendere meno ripugnante l'orrore "ch'esala dolente dalle reliquie dei bimbi", a portare luce sul confine fra il tristemente vissuto e l'impensato che, pure, ha agito e trionfato ad opera di "orde di lupi". La Arendt, fine lettrice del "sonno del senno" in cui son caduti potenti e civili, durante il regime nazista, ha magistralmente evidenziato l'assenza nei colpevoli di un dialogo attivo con il proprio sé, un dialogo che avrebbe impedito simili misfatti, perché chi gode di una coscienza parlante non accetterebbe mai di andare a dormire con un assassino, e cioè se stesso. Alla Libertà l'autore chiede, dunque, di dissipare "questo gelo che ci raggela il cuore", il gelo che si prova dinanzi al male innominabile che sconvolge l'ordine della razionalità e fa perire il Senso dinanzi alla mancanza di sentimento e sensibilità, dinanzi alla voragine che inghiotte ogni uomo quando non scopre nell'altro uomo un compagno o un fratello ma una fiera spietata, capace di ordire trame infernali, e incapace di vedere nell'altro da sé l'immagine sacra del proprio Creatore. Sorrenti, da poeta, ha accesso privilegiato alle infinite contraddizioni del reale e sa dar loro voce con l'eleganza classica della compostezza e, nel contempo, con grande originalità apre, attraverso rappresentazioni plastiche di grande densità concettuale, altre vie al sapere, se è vero, per dirla con Marquard, che è la storia stessa a richiedere la non-storia perché la si possa comprendere davvero. Ebbene ritengo che l'autore riesca ogni volta, ed ogni volta con talento sempre maggiore (non mancando mai di avere accenti di immensa tenerezza), a chiarire la storia attraverso la Poesia, mitigandone i tristi verdetti e affidandola al dolce Canto. (Dott.ssa Edvige Galbo) |
Centro d'Arte Coreografica "Aglaia" Premio Artistico Letterario di Poesia e Narrativa "Nicola Mirto" 2011 |
"A VOLTE" di Vito Sorrenti
Si è detto tanto sulla vicenda di Sara, la sua sorte ha suscitato sentimenti di rabbia nell'opinione pubblica per l'inquietudine che ha suscitato l'efferatezza degli eventi. Le cronache, tutti i giorni, ci raccontano di omicidi commessi tra le mura domestiche per mano di parenti provocando sgomento e incredulità nelle nostre coscienze. Purtroppo viviamo, come riferisce Vito Sorrenti, in un'epoca in cui sempre più gente "sguazza nel fango e vive nell'ombra perché da tempo ha smarrito la lucerna dei padri", "in questa società capovolta e assuefatta ad ogni orrore, ad ogni misfatto, ad ogni scempio". Il poeta "scioglie all'urna un cantico" che non vuole unirsi a tutte le altre voci ma che, dimostrando estremo rispetto per il destino di questa giovane vittima, la ritrae attraverso una metafora che racchiude la verità oltre la verità, quella del "cerbiatto" che va "incontro a una tigre" in un "abbraccio funesto". E la più terribile delle tragedie diventa Poesia pura perché gli uomini disorientati, che non sono più capaci di vivere nella moralità, riacquistino il lume della ragione. (Dott.ssa Erina Faraci) |
Centro d'Arte Coreografica "Aglaia" Premio di Poesia Artistico Letterario "Nicola Mirto" 2011 |
"I DERELITTI" di Vito Sorrenti
L' iter lirico di Vito Sorrenti è un'espressione epifenomenica dell'iter speculativo del poeta, posto che le sue liriche riescono da sempre a riflettere, nella loro celebre monumentalità, quella inesauribile tensione fra Storia e Sentimento che le rende con puntualità dotate di una peculiare forza, altrimenti irripetibile. I versi, teleologicamente volti a chiarire, entro i limiti del possibile, il senso del paradosso e le ragioni che hanno portato all'ineguaglianza fattuale, pur nel quadro generale di riferimento, diventano la via privilegiata per un auspicabile risveglio delle coscienze. Sorrenti descrive rigorosamente le devianze da un'etica di valori universalmente riconosciuti come validi, per sottolinearne, altresì, l'inalterata validità, nonostante le strutture del reale sembrino non contemplarli più, abbandonarli e spingersi ormai ben oltre i limiti di qualsiasi fantasmagoria precedentemente preconizzata dagli "idioti dell'orrore". Tuttavia, il poeta non si limita semplicemente ad esprimere l'inaccettabile condizione dei derelitti in una eccellente formulazione lirica ma si sforza anche di comprenderla, nel più etimologico dei sensi possibili, entro l'abbraccio onnipervasivo di un registro linguistico che si adatta alla dolorosa singolarità del caso in rilievo e che da forma esteriore diviene valore intrinseco. Per ciò stesso, e in virtù di una necessità interna allo sviluppo della poesia, l'autore sceglie di parlare alla prima persona del plurale, facendosi intimamente parte di una comunità complessa, quella degli "ultimi della fila". Nel circuito descrittivo de "I derelitti", il prevalere plastico delle metafore non inibisce affatto il prepotente emergere del vero: il succedersi delle immagini aderisce appieno al reale e lo incarna esemplarmente. Il coinvolgimento dell'artista non è logico-discorsivo, come potrebbe accadere nei migliori casi di stesura cronachistica, ma si estende, piuttosto, in profondità e avviene, inoltre, a tutti i livelli del calderone affettivo proprio degli "esclusi", soltanto così è possibile andare oltre la "fotografia" per toccare infine, su scie empatiche, la regione della "visione": Sorrenti, immedesimandosi nei "senza diritti", percepisce la fragilità ontica dei "sugheri sull'acqua" e ce ne restituisce magistralmente l'immagine. Aveva ragione Wassily Kandinsky nell'affermare, in una fra le più famose delle sue raccolte di notazioni, "Lo spirituale nell'arte", che l'artista ha tre "esigenze mistiche": in quanto creatore deve esprimere la propria personalità, in quanto figlio di un'epoca ne deve esprimere lo spirito, e in quanto tecnico a servizio dell'arte ne deve esprimere l'essenza imperitura. Orbene, ritengo che il poeta riesca a soddisfare, con il raro dono della verticalità, le suddette tre esigenze mistiche in un'unica forma armoniosa: -la sensibilità precipua, l'attenzione al dato presente e l'eleganza nell'espressione esprimono la personalità di un uomo che non frequenta i lirismi, né tantomeno si limita ad abitarli temporaneamente, Vito Sorrenti, infatti, è abitato dalla Poesia e, di giorno in giorno, sceglie di ri-sposarla con lo stesso primigenio entusiasmo delle prime promesse di felicità; -i disordini odierni e le mancate città della pace sono rispecchiati icasticamente e si incastrano con piglio storico nei suoi versi , nondimeno, lo strazio e l'orrore feriscono un linguaggio, perfettamente in grado di lanciare l'urlo di una Ragione che, nel suo percorso, si scopre inetta e niente affatto astuta, così come avrebbe desiderato e, senz'altro, ha creduto Hegel; -la pregnanza di senso dei versi conclusivi, "gli occhi impietriti e aperti come gli occhi dei morti che non hanno visto la pietà di una mano posarsi sui loro volti", sfida e vince le corse o le battute d'arresto di ogni tempo, che si voglia declinato al presente o al futuro: il dolore dei derelitti trova qui la propria forma pura e sempiterna, e si consegna nudo sia alla memoria sia all'istante dei posteri nella sua più intima essenza. (Dott.ssa Edvige Galbo) |
Centro d'Arte Coreografica "Aglaia" Premio di Poesia Artistico Letterario "Nicola Mirto" 2011 |
"NOVEMBRE" di Vito Sorrenti
La tristezza e la mestizia del mese di Novembre dedicato ai "volti che non ci sono più" portano l'animo a tristi pensieri, a ricordi e all'inevitabile riflessione sullo scorrere del tempo. La bellissima similitudine, che Vito Sorrenti fa tra la vita delle foglie autunnali e la vita degli uomini, è l'interprete principale della sua lirica che dipanandosi, come una fervorosa splendida preghiera, può considerarsi, a tutti gli effetti, una piccola perla di saggezza. Le foglie, come l'uomo, vengono staccate dall'albero dal vento della morte e sparse ed abbandonate "al loro ignoto destino", soltanto la Misericordia Divina, Celeste Consolazione, potrà aiutare le foglie-uomo - "foglie aggrovigliate ai rami contorti della vita" - a trovare il "riposo eterno" dopo le tribolazioni terrene, e soltanto così noi uomini potremo accettare che "le gelide braccia della morte" possano essere la naturale conclusione del ciclo della vita. Per la Giuria (Prof.ssa Giuseppina Ferrara) |
Accademia Internazionale Il Convivio
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Primo Premio Assoluto sez. Poesia inedita con Trittico della Libertà
Il tema della libertà, diritto ancestrale dell'uomo, è sempre stato fonte di ispirazione per artisti e poeti, e in tale prestigiosa rosa s'inserisce a buon diritto Vito Sorrenti, il quale, con il "Trittico della libertà", ha voluto rendere omaggio alle vittime dell'olocausto. La lirica, assai intensa nei contenuti, originale nella struttura ed elegante nella forma, incide profondamente sulla coscienza del lettore, spingendolo a riflettere sulle ferite insanabili che ancora oggi la parte più debole dell'umanità subisce quotidianamente. Attraverso metafore ardite, il Poeta descrive gli orrori della violenza sui deboli e gli indifesi, per giungere dall'orrido fumo dei forni crematori al "materno dolore / per i figli uncinati dai feroci sparvieri". E all'immagine dei bimbi innocenti trucidati dai vili, si contrappone, nell'ultimo verso, un soffio di speranza, che vuole essere una disperata invocazione alla libertà e una preghiera: "Dissipa questo gelo che ci raggela il cuore". (Alfonsina Campinsano Cancemi) |