Le recensioni |
Premio delle "Due Sicilie" 2016 |
Ritorno in Sicilia di Vito Sorrenti
Dalle origini dell'uomo i filosofi hanno cercato di dare una definizione alle scienze teologiche e, pensando un attimo a Wolff, egli definì la teologia: "La scienza di ciò che è possibile per opera di Dio", mentre Kant, invece, nella "Critica della Ragion Pura", si preoccupò di distinguere la teologia razionale e la teologia rivelata. In queste ragioni non manca la poesia dell'eloquente autore Vito Sorrenti, che della solare e storica Sicilia mette in evidenza un lirismo intriso di natura„ di ricordi, di colori e folklore unici al mondo. Un perfetto concetto, che entra di prepotenza nei significati e nel significante del poeta, anima sensibile, che a mio dire, del trascendentale "Concepisce il suo soggetto semplicemente con la ragion pura mediante meri concetti trascendentali; quindi la poesia come la teologia naturale, si avvale di concetti naturali, di quel sentire i profumi della natura. Carmine Iossa |
Premio "Cittàdellapoesia"
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Menzione d'Onore Vito Sorrenti di Sesto San Giovanni (MI) "Trittico del lutto"
Dopo la descrizione apocalittica dei mille mali che lacerano questa povera umanità, prorompe l'urlo accorato di chi grida al Signore la consapevolezza del proprio dolore e della propria morte. E da questa presa di coscienza scaturisce la preghiera che invoca pace, luce e vita. Composizione complessa e ben costruita, che rivela il possesso di ottime capacità espressive e di una tecnica del verso personale e ormai consolidata. La Giuria |
PREMIO NAZIONALE DI POESIA
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"Aspettando il domani"
Il perenne susseguirsi dei giorni e delle stagioni suggerisce all'autore una domanda su ciò che sarà di noi alla fine della nostra esistenza. Rimpianto e nostalgia per una "alba" che non ritorna e un futuro fuggito troppo in fretta sono al centro della lirica. L'amara negazione di un'altra vita costringe il poeta a confessare il pessimismo di un tramonto buio, freddo e amaro, quando l'unica tenue luce che si sprigionerà dai ricordi sarà il rimpianto delle tante occasioni perdute. Composizione ragionata ed essenziale che aiuta a riflettere sul valore del tempo. Chiasmi, enjambements e altre figure retoriche impreziosiscono la lirica. Alda Magnani |
Concorso Internazionale delle Arti "Dolce Sole — alla memoria di Donatella Gaspari"
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"Trittico della libertà", Vito Sorrenti
Una denuncia dell'assurdità della guerra, una presa di coscienza dell'efferatezza di quanto avvenuto e un monito a non-dimenticare, in un contrappunto condotto in modo suggestivo: ciascuna delle tre voci della poesia ha il suo pathos (i fulminanti flash sullo sterminio, lo struggente grido alla Libertà, le crudi immagini — che colpiscono come pietre — di vite bruciate), ma solo tutte e tre insieme restituiscono un tutto polifonico di immensa commozione. Tanto più che, mentre l'invocazione alla Libertà da una parte, e l'agghiacciante panoramica sullo "scempio di sangue" dall'altra, hanno una loro struttura e possono essere lette autonomamente, la terza parte del trittico, quella dedicata alla "disumana ferocia" (tutti versi di un rigo che iniziano con una preposizione, come sinistri rintocchi di campana sulla distesa di "fango" in cui si è consumata la tragedia), ha senso solo in funzione delle "vite sconvolte": quasi a dire che l'orrore non ha una sua consistenza ma, come recita la terzina posta all'inizio del "Trittico", è "il sonno del senno". La Libertà, al contrario, è personificata: invocata e attesa come fine del "calvario", "memoria" e conforto. Il male può invadere tutto il mondo perché è come un fuoco che si alimenta di ciò che brucia, ma non ha sue radici: è una fiamma che devasta e lascia il gelo. La Libertà ha invece una sua profondità, perché ha la capacità di ricordare e di squarciare i "sipari", la capacità di pensare e di amare. E in quanto "capacità", come suggerisce la chiusa del "Trittico" in forma di preghiera, è "in potenza" e diventa possibile solo con un impegno continuo. Non a caso la poesia termina con due verbi, incidere e dissipare. due azioni, per impedire ogni altra "truce barbarie". (dott. ssa Emanuela Martinelli) |
PREMIO NAZIONALE BIENNALE DI POESIA
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IL VUOTO DELL' ASSENZA"
Sollecitato dal sole che tramonta e, poi, sorge potente a dire nuova vita, il poeta rimembra il suo amore, che non è più. L'assenza fisica è lacerante, crea un vuoto incolmabile. E con la poesia esprime il suo dolore, "l'aria di gelo fra le pareti del cuore". Il Presidente della Giuria MAURIZIO MAZZETTO |
PREMIO NAZIONALE di POESIA "un sorriso per gli anziani" — 2014 |
"Per vichi e scalinate..."
Il ritorno nei luoghi dell'infanzia e della giovinezza suscita una mare di ricordi nel cuore del poeta, ma una triste constatazione spegne subito l'impulso gioioso: i volti e i sorrisi di un tempo sono spariti. I giovani sono emigrati altrove, spinti dalle necessità dell'esistenza. Eppure i ricordi hanno ancora i colori, le voci e le sensazioni di un tempo, quando era lecito sognare e tristezze e dolori non avevano ancora segnato la vita. Questa bella lirica, impregnata di dolcezza e di nostalgia, induce a riflettere sul senso dell'umana esistenza, raffigurata nel succedersi rapido di efficaci quadretti, descritti con grande capacità di osservazione e ottime scelte lessicali. La Giuria |
Accademia Internazionale Il Convivio
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Vito Sorrenti Primo classificato, sez. "Silloge di Poesie" con I derelitti
Silloge che nel suo divenire ascrive e registra chiare notifiche agli olocausti di questo nostro tempo. Componimenti dal distinto tratto musicale dove la rima fluisce alta e sonora a completare versi che lasciano tra le fibrillazioni del cuore quella dolce e anelata riconquista della luce. Versi univoci seminati con garbo, competenza e amore tra le realtà della vita per raccogliere nuove speranze tra le pagine del tempo. Parole vere che risuonano strazianti nel cuore delle notti a ridare voci ad anime mute, sacrificate sull'altare del culto col sangue di Cristo che non accetta più miserie umane. Sabato Laudato |
Centro d'Arte Coreografica "Aglaia" Premio Artistico Letterario di Poesia e Narrativa "Nicola Mirto" 2013 |
"LAGER" di Vito Sorrenti
Il filosofo tedesco, di origine ebraica, Hans Jonas nel mesmerico testo dal titolo Il concetto di Dio dopo Auschwitz, dopo l'immane tragedia della Shoa, si chiede se sia ancora possibile pensare Dio, secondo i canoni della tradizione e della religione ebraica, come buono, comprensibile ed onnipotente. Se i primi due attributi appartengono ontologicamente alla divinità e costituiscono il fondamento di ogni religione, Jonas sostiene allora che, dopo Auschwitz, l'attributo di onnipotenza non possa essere più associato a Dio, il quale "non intervenne, non perché non lo volle, ma perché non fu in condizione di farlo". Questa piccola premessa "filosofica" inquadra in maniera icastica lo spazio concettuale entro cui pensare i versi della poesia Lager di Vito Sorrenti. L'autore, attraverso un verseggiare che si alterna tra disperazione e rabbia, sconforto e speranza, tratteggia in maniera decisa le immagini di un campo di concentramento, e nel contempo ripropone, attraverso invocazioni continue, la domanda che, nel soffocante e, a un tempo, assordante silenzio di Auschwitz, emerge in maniera prepotente, riprendendo l'urlo straziante del Cristo morente: "Eloì, Eloì, lama sabactàni?" (Mc 15, 34). E risposta non c'è di fronte all'orrore generato dalla violenza di "belve", che riducono "in paralumi la pelle dell'uomo"; di fronte alla violenza perpetrata su chi, come Dostoevskij e Nietzsche ricordano, è innocente per definizione: i bambini; di fronte ai camini che rendono grigia la neve dell'inverno polacco, riducendo "in fumo il sangue dell'uomo". È questa la "notte senza fine" che emerge dai versi del poeta; notte che richiama la descrizione fatta dal premio nobel per la pace Elie Wiesel nel romanzo autobiografico intitolato proprio La nuit. Una notte che avvolge con l'oscuramento della ragione l'intero genere umano, prospettando il dominio di quel nichilismo assoluto, che ha nella formula "Dio è morto" la sua espressione apicale. Ma tra la notte di Wiesel e quella del nostro autore c'è una frattura inconciliabile; da un lato, nelle parole del filosofo di origini rumene non traspare alcuna fede, alcuna speranza nella trascendenza: di fronte all'impiccagione di un bambino ad Auschwitz, alla domanda di un altro prigioniero "Dov'è Dio?" egli sente una voce dentro di sé che risponde "Egli è qui. È appeso su questa forca"; dall'altro, dai versi di Sorrenti emerge una speranza nella giustizia divina, in quanto luce "capace di dissolvere quest'indicibile pena". L'ultimo appunto di questa motivazione vorrei dedicarlo ad un'impressione mia personale, che va al di là della poesia stessa, ma che, a mio avviso, è calzante con le parole che emergono dai versi. Sebbene la lirica sia esplicitamente dedicata "alla memoria dei deportati", credo che Lager sia l'espressione paradigmatica di una condizione storica ed esistenziale che va oltre l'evento della Shoa; come ricorda Agamben in Homo Sacer, il campo di concentramento è il paradigma bio(tanato)politico della modernità, esso rappresenta in maniera suprema la condizione di fabbriche, città, scuole, luoghi in generale in cui la vita è diventata produttiva nella sua datità immediata e quindi oggetto dell'attenzione del nesso potere-sapere che domina il moderno ed ha nel capitalismo sfrenato il suo alleato economico. La poesia di Sorrenti oltre ad essere una testimonianza di una delle pagine più buie della storia dell'uomo vuole essere al contempo un monito ed una denuncia contro la natura malvagia "del funesto rapace", in cui si è trasformato l'uomo. dott. Salvatore Spina |
Centro d'Arte Coreografica "Aglaia" Premio Artistico Letterario di Poesia e Narrativa "Nicola Mirto" 2013 |
"NOSTOS" di Vito Sorrenti
Le liriche di Vito Sorrenti si contraddistinguono per un andamento narrativo-musicale che conduce il lettore ad un vero e proprio atto di ascolto integrale, ben oltre un'esperienza esclusivamente contemplativa. In "Nostos" la disposizione formale dei versi, la struttura timbrica, lo spettro variegato del registro linguistico, coordinandosi fra di loro armonicamente, manifestano un intimissimo legame con l'idea e/o con l'intuizione creativa che anima l'intero componimento, determinando, così, un equilibro classico fra ciò che è materiale e ciò che è contenutistico-spirituale. Ciò che è vivo non può essere misurato, per esprimersi in termini eminentemente goethiani, da ciò che sta al di fuori della vita, ebbene il poeta riesce a restituire nei suo versi l'intensità della ricerca di ciò che è perduto soltanto perché è capace di lasciarsi attraversare da sentimenti autenticamente intensi: in piena coincidenza fra misura e misurato, l'autore dà forma alla sue domande senza risposta («E tu, dove sei tu? Da quale finestra t'affacci? Da quale porta sorridi?») perché quelle stesse domande hanno dato forma al conflitto interiore del poeta stesso, al suo cuore che in tumulto rompe i silenzi. Nel prima parte del componimento, Sorrenti descrive un paesaggio muto, aspro, disabitato che irrompe con violenza sulla memoria visiva del passato e le si oppone contestandola sino a che «un suono d'arpa sconsolato e mesto rintocca» nel petto dell'autore, costringendolo a riconoscere la trasformazione definitiva dei luoghi dell'infanzia. Il divenire è impietoso, produce un effetto di straniamento, spodestando l'uomo dagli spazi sereni del passato: il vivido snodarsi di immagini familiari è sottratto allo sguardo dell'indagine poetica e non resta che un durissimo silenzio, un deserto in cui — jabesianamente —, nel conflitto fra assenza e presenza, è l'assenza a vincere. Nella seconda parte, il poeta avvia un dialogo funambolico e tragico con la madre perduta: teso sul filo delle interrogazioni che non potranno trovare risposta, Sorrenti cerca ancora la dolcezza degli occhi verdi della mamma, il fuoco sacro del suo affetto, il trepidar del cuore suo in attesa dei figli lontani. La madre è salvezza, la madre è la redenzione, la madre è la traccia da seguire nei sentieri tortuosi del vivere odierno e, come in una meravigliosa tela del Caravaggio, è il capo chino di Maria sul viso del proprio piccino, tenerezza paradigmatica, inimitabile senso di protezione e conforto in un momento di riposo dalla fuga in Egitto. Il nostro autore accosta le azioni della madre a quella di Cristo nell'atto di spezzare il pane e versare il vino perché ogni madre, nel microcosmo delle singolarità umane e in senso strettamente terreno, replica l'atto di dar la propria vita per i figli amati; come Gesù tutte le sue creature, così la madre ama incommensurabilmente le proprie. E di un amore così grande non si può restare orfani indifferenti: nell'alluvione quotidiana di discorsi senza senso, di frenesie e lotte senza meta, l'amore eterno della madre andrà custodito come un dono invisibile ma tangibile, come ciò che alleggerisce ogni uomo al mattino quando esce di casa per andare al lavoro, e cioè la speranza di poter far ritorno a casa propria. Dott .ssa Edvige Galbo |