Centro d'Arte Coreografica "Aglaia" Premio Artistico Letterario "Nicola Mirto" 2008 |
"LA NEVE E LO SCEMPIO" di Vito Sorrenti
Come in una tela espressionistica si mescolano sinistri i colori, così nel componimento del poeta Sorrenti, al candore della neve si sovrappone - beffardo - il rosso carminio, nonché l'eco lontana della tragedia greca che rimbomba, pur tuttavia, presente. Il poeta invoca il cielo, la terra e il mare in cerca di una giustificazione, assolvendo la funzione di un coro di euripidea memoria, ma laddove il coro spezzava lo spettacolo, il poeta assiste invece allo scempio più che reale che dai media lo insegue: la scena non provoca catarsi, soltanto orrore. Non c'è salvezza perché non c'è finzione e Medea si reincarna dispiegando "ali e furore di atroce sparviero". Il registro linguistico è elevato e sfuma in immagini raffinate per ricreare una regione poetica incontaminata dal "chiacchiericcio anonimo" giornalistico che svende su testate di cronaca il più atroce dei delitti. La lirica consegna al lettore il precipitare degli eventi e l'epifania della catastrofe in un vortice di voci, segnate dallo sgomento; i toni si mantengono sulla soglia del descrittivo, non indugiano voyeuristicamente sull'orrore perché rispettano e meditano. Ma, se anche fosse stata la "solitudine greve" a far dell'"angelo del focolare" l'autrice cruenta di un simile scempio, come si può giustificare la morte, che "entra come un lampo", facendo razzia di un animo innocente? "Scandalon": lapidaria definizione evangelica di un peccato imperdonabile persino dall'Uomo che redime tutti i peccati e viene per insegnarci il Perdono. Il poeta esprime lo sbigottimento dinanzi al vuoto di senso della parola "madre" se questa può trasformarsi in assassina, e infine porta l'animo del lettore a commozione ricordandogli che fu sempre quello il nome che "ogni implume declina per primo, che alberga nel cuore di ogni pulcino, che dolce risuona sulla bocca di ogni bambino". (Dott.ssa Edvige Galbo) |
Centro d'Arte Coreografica "Aglaia" Premio Artistico Letterario "Nicola Mirto" 2008
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"LA NEVE E LO SCEMPIO" di Vito Sorrenti
Nell'abile intreccio delle quartine, il Poeta, maestro nel produrre sensazioni ed emozioni in chi legge, evoca, fra empietà, strazio e domande senza risposta, uno dei drammi più terribili del nostro tempo. E lo fa con l'atteggiamento di un padre dolce, di un uomo buono, sbigottito, quasi disorientato, come tutti noi d'altronde, di fronte ad episodi raccapriccianti e di sconcertante brutalità. Dott. Gregorio Napoli |
Centro d'Arte Coreografica "Aglaia" Premio Artistico Letterario "Nicola Mirto" 2007 |
"AMEBEO PER ADUT" di Vito Sorrenti
Il componimento è metricamente rigoroso quanto emotivamente toccante. Rispetta perfette simmetrie ed investe sulla ricercatezza lessicale ma la liricità dei contenuti resta vibrante, non si fa prigioniera dello schema da seguire, si impone liberamente al lettore commuovendolo. L'uso insistito della "r" suscita tensione ed intrecciandosi a quello, altrettanto costante, della "t", che rende dura l'intonazione, precipita in un ritmo marziale, foriero di "speranze stritolate". Gli scenari cruenti vengono ritratti in inusitate metafore. La figura di Adut è carica di riferimenti epici: ella riconosce nell'amata creatura "il fiore appassito sulla pietra di un seno inaridito" e rievoca l'Ecuba, simbolo per antonomasia di Maternità violata, che stringe a sé il nipotino Astianatte straziato. Adut, che brucia di dolore per "l'amato marito dilaniato dai lupi", scopre l'inutilità della propria femminilità senza lo sposo a cui offrirla. I versi "dove andare? che fare? a che e come vivere ancora / senza il tuo amore, senza il tuo aiuto?"... ricordano, poi, l'Andromaca che si lascia andare, ormai, svestita dal conforto del compagno, padre e amico Ettore. "Muore, / muore atrocemente" Adut nel "diniego". Ed è grande sollievo chiudere gli occhi al languire dei versi, per non oltrepassare la "notte che scende sulla bianca agonia". Prof.ssa Edvige Galbo |
Centro d'Arte Coreografica "Aglaia"
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"AMEBEO PER ADUT" di Vito Sorrenti
Il Poeta dedica commossa attenzione al tema "corale" del dolore, in un affiato di fratellanza verso le frontiere calpestate dalla brutalità. Dott. Gregorio Napoli |
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Centro d'Arte Coreografica "Aglaia" Premio Artistico Letterario "Nicola Mirto" 2007 |
"CANTO D'AMICIZIA E D'AMORE" di Vito Sorrenti
"I giusti non moriranno, / i giusti vivranno / nella luce dell'amore./ E tu, Nicola Mirto, giammai sarai dimenticato, / vivrai per sempre nel canto dei poeti / e nella vita che accima alla luce dalle tue nobili radici". Eleganza di stile, ricchezza lessicale, sincerità di sentimento sono le componenti che rendono speciale la emozionata ed emozionante lirica di Vito Sorrenti, dedicata alla memoria di Nicola Mirto, scomparso prematuramente nell'ormai lontano 1986. "Arde il ricordo / al fuoco dell'arte / e rilucono gli occhi / di limpido affetto", di quell'intenso, forte, profondo affiato d'amore con il quale l'illustre uomo politico ha riscaldato l'animo e riempito la vita della sua famiglia e delle innumerevoli persone che le sono state a fianco. E proprio questo stesso profondo affiato d'amore sfida e vince la battaglia con il tempo, ladro delle memorie e dei sentimenti non autentici e arriva al cuore dei poeti, i quali ogni anno rivedono Nicola Mirto "nella cornice bella della città di Ciullo" con il suo "sorriso", pronto ad "illuminare volti" e "stringere mani". "Lacerante è lo strappo che strappa a noi tutti / radici d'affetto" - riferisce l'autore nella poesia - ma l'importante è serbare gelosamente gli insegnamenti, cercare di "seguire il solco / tracciato dai giusti" e mantenere vivo il ricordo, che - vorrei aggiungere - permane in tutto il suo splendore grazie, anche, a stupende liriche come "Canto d'amicizia e d'amore", prezioso dono dell'insigne poeta Sorrenti. Poetessa Micòl Galbo |
Centro d'Arte Coreografica "Aglaia" Premio Artistico Letterario "Nicola Mirto" 2007 |
"CANTO D'AMICIZIA E D'AMORE" di Vito Sorrenti
Il percorso creativo della nobile figura di Nicola Mirto si salda all'esaltazione della bella Città di Ciullo, culla di Poesia e giacimento di Cultura. Dott. Gregorio Napoli |
Centro d'Arte Coreografica "Aglaia" Premio Artistico Letterario "Nicola Mirto" 2006 |
"PARABOLA DEI SIMBOLI OBLIQUI" di Vito Sorrenti
L'abile intreccio poetico si muove fra le speranze della Pace ed i disastri del Crimine, della Guerra, della violenza. Per chiudersi, infine, nel conforto della costrizione. Dott. Gregorio Napoli |
Manifestazio-ne Maggio Pontelongano 2006
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Parabola dei simboli obliqui
La guerra, spietato strumento in mano a avidi manovratori, dissemina terrore e more al pari di una pioggia torrenziale che cade obliqua e non distingue le vittime. Parole dure, forti. Se il cielo può dare ai mortali soltanto dolore e miseria, allora un'invocazione finale al pensiero dell'uomo, perché squarci le tenebre del male e rischiari gli oscuri recessi del cuore. Si tratta di un componimento poetico di notevole efficacia in quanto a carattere polifonico dove più voci si fanno eco, con la capacità di toccare i punti salienti di un tema difficile mantenendo alto il tono, con vigore e versatilità. La Commissione |
Centro d'Arte Coreografica "Aglaia" Premio Artistico Letterario "Nicola Mirto" 2006 |
"SEQUENZE DI FEROCIA" di Vito Sorrenti
"Angeli ciechi nutriti d'astio vanno ad occhi aperti dietro vessilli di morte". È dunque l'agonia della umanità quella che si celebra in questi versi? Sembrerebbe essere questo il percorso intrapreso dal poeta di fronte ad una umanità infelice, che sperimenta giorno dopo giorno "l'ombra agonica" dello spirito, privato di ogni valore, sacrificato a quei "fardelli nefasti della fede funesta" che "squarciano petti" e lacerano lo spirito consacrandolo ai "morsi del terrore occulto", laddove "la voce di Cristo risuona dolente nel pianto silente di angeli infanti". Questo linguaggio duro, amareggiato, nasce da un dolore acerbo, da una disperazione che il poeta vive come testimone impotente di fronte al male dell'uomo, di fronte a quelle barbare "sequenze di ferocia", segno inquietante di una "fede funesta"; sono versi che riportano alla mia mente alcuni versi significativi di una lirica del grande Ungaretti: "Come si può ch'io regga a tanta notte?".Il nostro autore usa volutamente una metrica equilibrata, in un gioco perfetto di simmetrie e rispondenze, le stesse immagini seguono un preciso percorso nella "disposizione delle parti" e ne risulta una coralità fatta di costanti variazioni tonali, che esprimono bene e senza eccessi emozionali il "linguaggio del dolore", che non deve mai risultare scomposto e alterato. In questo modo, il messaggio del poeta risulta forte ma soprattutto chiaro, senza eccedere mai verso una "violenza della realtà oggettiva", verso una "ambiguità del simbolo oscuro ed inquietante" (Squarotti), poiché, nella notte del dolore e del dramma, c'è sempre la speranza di una rinascita, anche se il Nostro sembra abbandonarsi ad una esperienza di dolore senza risoluzione, chiuso in quel silenzio lacerato, in quell'urlo drammatico: "O Mondo ancora schianta e si schianta il sangue..."; parole tanto più vere e dure quando sono liberate "da ogni velatura e superstruttura letteraria" (Giudice), per essere incise non sulla carta ma sul cuore della umanità, affinché sia liberato "dagli artigli affilati dei nuovi profeti". Il poeta descrive il dolore con versi profondi: "E l'anima si incrina e geme affranta per le piante falciate e i fiori appassiti" come Ungaretti nei versi: "Come questa pietra è il mio pianto che non si vede". Di fronte a questo destino di sofferenza, di angoscia e di afflizione, l'autore ha ancora la forza di lanciare una supplica perché l'umanità esca dal "silenzio apocalittico" per incamminarsi verso un "silenzio aurorale" e lo fa attraverso un pulpito privilegiato, quello della Poesia, perché il mondo ritrovi una "visione pacificante" dell'umanità, dove tutto ciò che ora è morte torni ad essere Vita, una vita senza verità frammentate e dissolte; se questo messaggio giungerà intatto al cuore della umanità, "dall'angoscia della morte" rifiorirà una nuova vita capace di spazzare via quelle disumane "sequenze di ferocia": "Folgora, o Luce, gli officiatori di riti e sacrifici atroci e irradia la tua luce negli occhi degli angeli ciechi". (Adriano Angelo Gennai) |
Centro d'Arte Coreografica "Aglaia" Premio Artistico Letterario "Nicola Mirto" 2006 |
"TRITTICO DELLA TEMPESTA" di Vito Sorrenti
Le prime estrinseche e modeste considerazioni sull'epica lirica non possono che concentrarsi sull'effetto di ammirato stupore che in un lettore del 2006, disabituato e quindi basito, provoca il ritrovato gusto per la forma e la cura per il linguaggio, sempre utilizzato con eleganza, senza profittare della ricercatezza, con sobrietà nelle combinazioni. Aggettivi a iosa per rendere pulsante il ritmo e comunicare angoscia; trascelti i verbi per riflettere condizioni talora inesprimibili.L'uso sapiente e costante delle liquide, lungo tutto il componimento, scioglie la lettura e aiuta in musicalità il verso. Di contro si annoda nello sconforto l'animo del lettore a cui vengono inviate scene, create con abilità, oserei dire pittorico-espressionistiche. La tavolozza di Munch presta i propri sofferti colori al verso. La lirica si chiude con le domande che accompagnano l'uomo quotidianamente quando apre gli occhi e si affaccia ad un nuovo giorno di vita. Come si evince dal testo, lo tsunami ribalta l'ordine consueto in cui la natura è sentita amica e manifesta l'orrore in cui precipita l'uomo quando non può, come il cantico di S. Francesco ci insegna, riconoscere la presenza di Dio negli elementi della Natura, ed ecco che "divampa il dolore", "il cuore singulta", "gronda la pena" ed "urlano gli occhi". L'alluvione è un tema che stimola anche i più grandi poeti come Eugenio Montale, il quale dedicò uno dei componimenti di "Xenia II" all'alluvione disastroso di Firenze del 1966. Egli descrive la catastrofica calamità come un sommergimento di oggetti cari nella cantina che invano lottano il fango. Chiara metafora di un animo stravolto da eventi incontrollabili che siffatti amplificano la solitudine e l' impotenza dell'uomo. Ciò mi sembra mirabilmente descritto in una delle strofe del trittico: "E urlano gli occhi /misericordie d'amore /per le care creature / e le anime insepolte". Montale recupera il senso nei rapporti umani, nel ricordo del valore-coraggio trasmessogli dalla moglie, immensa fiducia in un legame unico ed irripetibile. Il nostro poeta invece allude a qualcosa di più della fiducia che quasi per definizione sembra possa essere tradita, egli si rifà ad una grande fede, porto a cui, sembra suggerire la penultima strofa, l'uomo dovrebbe far ritorno. Poetessa Edvige Galbo |
Centro d'Arte Coreografica "Aglaia" Premio Artistico Letterario "Nicola Mirto" 2006 |
"TRITTICO DELLA TEMPESTA" di Vito Sorrenti
In una composizione polifonica, l'autore descrive uno degli ultimi più terribili drammi vissuti dalla nostra umanità. Travolti dall'Apocalisse delle acque, uomini, tuguri, lidi, approdi e candidi gigli non sono più con noi. "Quali le colpe degli ignari virgulti?" - si interroga il poeta - e rivolgendosi alla Natura chiede "perché infierire se già immenso è l'umano dolore?". La domanda, purtroppo, rimane senza risposta perché fa parte di quel mistero della vita che non ci è dato cogliere. Possiamo soltanto sperare che dall'Alto vengano raccolte le invocazioni ed esaudite le preghiere dell'illustre poeta e di tutti noi che, sbigottiti, stiamo a guardare. Prof.ssa Anna D'Angelo |